Il prestito d’uso dell’oro nel concordato preventivo

Con il presente lavoro si propone di fornire alcuni spunti di riflessione e di analisi nell’ipotesi in cui un’azienda orafa, alla data di deposito della domanda di Concordato Preventivo ex art. 160 e ss. L.F., non risulta possedere, presso i propri magazzini, parte o tutto l’oro detenuto in prestito d’uso.

1. Premesse

L’inizio del nuovo millennio è stato caratterizzato da una serie di svalu- tazioni del dollaro che ha causato una continua ricerca di nuove forme di impiego delle risorse da parte degli investitori istituzionali.

L’oro è stato uno dei principali beni di rifugio. La conseguenza degli importanti investimenti nell’oro ha determinato quotazioni dei prezzi del metallo via via crescenti con i picchi più importanti avvenuti negli anni 2011, 2012 e 2019. L’instabilità del prezzo dell’oro occorso negli ultimi anni e le innovazioni dei prodotti e dei processi imprenditoriali non adeguate alle esigenze di mercato hanno acutizzato la crisi.

La crisi generalizzata del settore orafo ha costretto molte imprese del settore a ricorrere al credito delle banche, che ha peggiorato progres – sivamente la loro capacità economica per gli ingenti oneri finanziari. Una modalità di ricorso al credito nel settore dei metalli preziosi è il prestito d’uso, solitamente concesso dalle banche.

2. Il prestito d’uso di oro.

a) Definizione

Il prestito d’uso in oro è una forma di finanziamento mediante la quale l’operatore del settore (chi commercializza o trasforma il metallo) rice- ve fisicamente un quantitativo d’oro, in lingotti o barre, da impiegare all’interno del processo produttivo.

Lo scopo economico del prestito è quello di fornire all’impresa la materia prima senza dover avere un immediato esborso di denaro.
Solitamente l’operatore che intende usufruire di questa agevolazione gode di una linea di credito specifica, e può ricevere il metallo prezioso in prestito sino alla concorrenza del fido accordato.

L’art. 709 della raccolta degli Usi e Consuetudini della Provincia di Vicenza definisce il Prestito d’uso come il “(…) contratto con il quale un soggetto, di solito una Banca, concede in uso ad un altro soggetto (azienda orafa) una certa quantità di metallo prezioso, comunemente oro, affinché questi lo utilizzi liberamente, nell’ambito della sua attività, con l’obbligo di rendere alla scadenza stabilita, la stessa quantità e qualità del bene ricevuto, nonché di pagare un corrispettivo per l’utilizzo”.1

Il citato contratto viene sussunto nella categoria dei contratti “atipici” in quanto non espressamente disci- plinato dal diritto civile. Il contratto de quo presenta molteplici caratteristiche proprie di alcuni contratti tipici, quali il contratto di mutuo, il contratto estimatorio, il contratto di comodato.

Nella prassi si è soliti accomunare il contratto di restito d’uso con il contratto di mutuo normato e disciplinato dall’art. 1813 cod. civ.2

Tuttavia, tra le due tipologie contrattuali risulta esservi una sostanziale differenza: nel contratto di mutuo il trasferimento della proprietà avviene alla consegna del denaro o di altri beni fungibili in favore del mutuatario, mentre nel prestito d’uso il passaggio della pro- prietà si ha solo qualora venga esercitata l’opzione di acquisto da parte del prenditore.

Il mancato trasferimento della proprietà in capo al prenditore trova riscontro anche nella Circolare del 9 novembre 1995 n. 293 del Min. delle Finanze la quale afferma: “(…) il trasferimento della proprietà dell’oro greggio avviene al momento dell’esercizio dell’opzione per l’acquisto, fino a tale momento l’operazione di cui trattasi non assume alcuna rilevanza ai fini fiscali, salvo che per le lavorazioni subite dall’oro che dovranno essere contabilizzate tra le rimanenze e per il compenso pagato per l’utilizzo del metallo che dovrà essere assoggettato anche all’IVA in quanto, trattandosi di un corrispettivo per la prestazione di un servizio, il medesimo rientra nel campo di applicazione di detto tributo (…)”.

b) Contabilizzazione

Il metallo, che, come sopra chiarito, resta di proprietà della Banca, viene consegnato con la semplice emissione di undocumento di trasporto. Ciò significa che, non essendoci trasferimento di proprietà, l’istituto di credito non procede ad alcuna fatturazione. A fronte del prestito di oro, l’impresa sarà tenuta unicamente al pagamento degli interessi alle scadenze con- venute. La fattura verrà emessa solamente nel caso in cui il prenditore decida di estinguere il prestito scegliendo l’opzione dell’acquisto dell’oro, anziché procedere alla restituzione fisica del metallo nella stessa quantità e finezza originarie. In altri termini, alla scadenza del contratto, o in caso di risoluzione anticipata del medesimo, l’impresa dovrà scegliere se restituire la stessa quantità e qualità di oro ottenuto in prestito, ovvero, procedere all’acquisto dell’oro versando il controvalore in denaro al cambio vigente in quel momento, previo ricevimento della fattura. Posto quanto sopra, alla fine di ogni esercizio, l’impresa dovrà tenere distinto l’oro ricevuto in prestito d’uso da quello acquisito in proprietà.

Sidovrà, pertanto, procedere ad undettagliato inventario fisico dal quale dovrà essere detratta la quota partedivalore dell’oro detenuto in prestito d’uso. Ad esempio,

  • Mercelavoratadifineanno=gr.20.000;
  • Prestito d’uso in essere = gr. 9.000 (di oro fino ipotetico a 100);
  • Euro 35 = prezzo medio oro puro a fine anno;
  • 0,8 = calo lavorazione;
  • Euro 5 = valore medio di lavorazione per grammo di oro.

Per inciso, fino al bilancio di esercizio chiuso al 31 dicembre 2015, la valorizzazione del prestito d’uso di oro andava evidenziata tra i “conti d’ordine”.

Note
€ 35x0,8=€ 28Prezzo al grammo senza lavorazione
€ 28+€ 5=€ 33Prezzo medio lavorato
Gr. 20.000x€ 33=+ € 660.000Totale rimanenze
Gr. 9.000x€ 35=– € 315.000Valorizzazione del prestito d’uso
€ 345.000Totale rimanenze di proprietà

A partire dal 1° gennaio 2016, a seguito della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del 4 settembre 2015, n. 205, del D.Lgs. n. 139/2015, in attuazione della Direttiva n. 2013/34/UE, i conti d’ordine sono stati abrogati3. Da ciò consegue che, venendo meno il comma 3 dell’art. 2424, cod. civ., a partire dal 1° gennaio 2016, dovranno essere riportate tutte le informazioni relative al prestito d’uso di oro esclusivamente nella Nota Integrativa.

3. Il prestito d’uso dell’oro nelle procedure concorsuali minori

a) Premesse

Molte aziende orafe colpite dalla crisi, a tutela delle stesse e dei loro creditori, per evitare il fallimento sono state costrette a presentare domanda di concordato preventivo ai sensi dell’art. 160 e ss. L.F. Al momento di deposito della domanda di concordato, parte di queste imprese si sono trovate nell’impossibilità di restituire l’oro concesso dalle banche. Una delle problematiche che si trovano ad analizzare i commissari giudiziali riguarda il mancato rinvenimento integrale o parziale dell’oro concesso in prestito d’uso.

b) Il Concordato Preventivo

Il concordato preventivo è un negozio giuridico che permette all’imprenditore che si trova in stato di crisi di evitare il fallimento, tramite un accordo che possa soddisfare, anche parzialmente, le richieste dei creditori.
Lo strumento del concordato preventivo è utilizzabile solo in presenza di determinati requisiti ed è rivolto in particolar modo alla tutela dei creditori che possono ottenere la soddisfazione in termini parziali del proprio credito ma in tempi ridotti rispetto a quelli previsti nel caso del fallimento.

c) Il ruolo del Tribunale

Dal deposito della domanda di concordato preventivo ex art. 160 e ss. L.F., il Tribunale fallimentare è l’organo di riferimento dell’intera procedura, dotato di potere di controllo sull’intero svolgimento della procedura.
Al riguardo, il Tribunale deve verificare che la documentazione prodotta dal debitore sia tale da consentire ai creditori di votare sulla proposta concordataria avendo ricevuto tutti gli elementi utili a tale fine.
Inoltre, la proposta del debitore deve risultare fattibile sotto il profilo giuridico, a prescindere dalla relazione dell’attestatore ex art. 161 L.F., poiché la realizzazione del piano non deve comportare la violazione di alcuna norma imperativa. In ultima, affinché la proposta concordataria sia ritenuta meritevole da parte del Tribunale, questa deve consentire, da un lato, all’imprenditore di superare la propria crisi e, dall’altro lato, ai creditori di ottenere un soddisfacimento parziale dei loro crediti in tempi ragionevoli, tenendo presente che i destinatari della proposta di concordato sono sempre e solo i creditori ai quali spetta formulare un giudizio in ordine alla convenienza economica della soluzione concordataria a loro prospettata.

d) Il ruolo del Giudice Delegato

A seguito della riforma del 20054, con l’art. 167 L.F., in vigore dal 16 luglio 2006, il ruolo del Giudice Delegato ha subito importanti modifiche essendo essenzialmente dotato di funzioni di controllo, volte alla verifica della regolarità della procedura, mentre le valutazioni di opportunità economica sono riservate ai creditori. Tuttavia, occorre ricordare come, pena la loro inefficacia, il compimento di taluni atti risulta subordinato ai decreti del giudice delegato.

e) Il ruolo del Commissario Giudiziale

L’art. 161, comma sesto, L.F. prevede che il Tribunale ha la facoltà di nominare fin da subito un Commissario Giudiziale il quale riveste la funzione di ausiliario5. Il Commissario è una figura meno penetrante rispetto al Curatore Fallimentare e non è configurabile una estensione analogica di quanto previsto all’art. 43 L.F. perché non rappresenta il debitore nella procedura che è sottoposto ad uno spossessamento cd. “attenuato”; in altre parole, il debitore mantiene l’amministrazione e la disponibilità dei suoi beni e la legittimazione processuale. La legge fallimentare prevede, altresì, che le funzioni del Commissario Giudiziale siano quelle di redigere l’inventario del patrimonio del debitore “e una relazione particolareggiata sulle cause del dissesto, sulla condotta del debitore, sulle proposte di concordato e sulle garanzie offerte ai creditori, e la deposita in cancelleria almeno quarantacinque giorni prima dell’adunanza dei creditori”6. Inoltre, l’art. 173 L.F. ha devoluto al Commissario Giudiziale un potere di controllo sulla legittima prosecuzione del piano, in qualunque momento della procedura7.
Nel caso in cui il Commissario accerti che “il debitore ha occultato o dissimulato parte dell’attivo, dolosamente omesso di denunciare uno o più crediti, esposto passività insussistenti o commesso altri atti di frode, deve
riferirne immediatamente al tribunale, il quale apre d’ufficio il procedimento per la revoca dell’ammissione al concordato, dandone comunicazione al pubblico ministero e ai creditori”8.

4. La revoca dell’ammissione al concordato e dichiarazione del fallimento nel corso della procedura ex art. 173 L.F.

Eliminato il requisito della “meritevolezza” dell’imprenditore nel concordato preventivo dal D.L. del 14 marzo 2005 n. 35, la disposizione di cui all’art. 173 L.F. è rimasta immodificata con la riforma della legge fallimentare. Il legislatore ha ritenuto necessario mantenere ed incrementare il potere di controllo e di garanzia degli organi della procedura in presenza degli atti di frode indicati nell’art. 173 L.F., che assumono rilevanza qualora realizzati dal debitore con dolo, consistente anche nella mera consapevolezza di aver taciuto, nella proposta, delle circostanze rilevanti ai fini dell’informazione dei creditori, i quali ne siano venuti a conoscenza solo a seguito dell’attività del Commissario Giudiziale. Consegue che, a norma dell’art. 173 della legge fallimentare, l’accertamento, ad opera del commissario
giudiziale, di atti di occultamento o di dissimulazione dell’attivo, della dolosa omissione della denuncia di uno o più asset dell’attivo, dell’esposizione di passività insussistenti o della commissione di altri atti di frode da parte del debitore, determina la revoca dell’ammissione al concordato preventivo, a prescindere dal voto espresso dai creditori in adunanza. Nello specifico, l’articolo 173 L.F., come noto, distingue gli atti di frode cd. “tipizzati” ed elencati nella norma (il debitore ha occultato o dissimulato parte dell’attivo, dolosamente omesso di denunciare uno o più crediti, esposto passività insussistenti), dagli “altri atti di frode” rilevanti ai fini della normativa citata. Giurisprudenza e dottrina ritengono che vadano qualificati quali atti di frode tutti gli atti volti ad impedire il voto informato ai creditori, ovverosia gli atti preposti ad ingannarli.
In merito, la giurisprudenza di legittimità ritiene che “(…) in base alla formulazione della norma è che l’atto di frode, per avere rilievo ai fini della revoca dell’ammissione, deve essere “accertato” dal commissario giudiziale e quindi dallo stesso “scoperto” essendo prima ignorato dagli organi della procedura o dai creditori” e che l’atto di frode è quello dotato di una “attitudine ad ingannare i creditori sulle reali prospettive di soddisfacimento in caso di liquidazione”9
In conclusione, atti di frode ai sensi dell’articolo 173 L.F. non sono gli interventi sul patrimonio del debitore, ma solo l’attività del proponente il concordato volta ad occultarlo in modo da poter alterare la percezione dei creditori circa la reale situazione del debitore influenzando il loro giudizio10. Se vengono, quindi, accertati atti del debitore volti ad ingannare i creditori, il Commissario Giudiziale deve informare senza indugio il giudice delegato, il quale, fatte le opportune indagini, può promuovere l’instaurazione del subprocedimento di revoca del concordato.
“In tema di concordato preventivo, rientrano tra gli atti di frode rilevanti ai fini della revoca dell’ammissione alla procedura ai sensi dell’art. 173 l.fall., i fatti taciuti nella loro materialità ovvero esposti in maniera non adeguata e compiuta, aventi valenza anche solo potenzialmente decettiva nei confronti dei creditori, a prescindere dal concreto pregiudizio loro arrecato. (Nella specie, la S.C. ha affermato che l’omessa indicazione nella proposta concordataria del contenzioso pendente nei confronti della società proponente, per un valore economico significativo, può costituire atto di frode)” 11 .

5. La configurazione degli atti rilevanti ai sensi dell’art. 173 L.F. nel prestito d’uso di oro

Alla luce di quanto sopra esposto, uno degli aspetti più delicati nella crisi d’impresa, oggetto di disamina nella relazione ex art. 172 L.F., rimane sicuramente quello di ricostruire le modalità con cui è stata gestita l’azienda. Diventa, pertanto, importante focalizzare quali conseguenze possono derivare dalla mancata restituzione alla banca o al terzo dell’oro detenuto in prestito d’uso, poiché si potrebbe essere portati a ritenere, prima facie, che l’oro mancante alla presentazione della domanda di concordato possa concretare un atto distrattivo dell’imprenditore.
La difficoltà, se non l’impossibilità, in molti casi, di ricostruire ”l’utilizzo” avuto nel corso degli anni dell’oro detenuto in prestito d’uso da parte dell’impresa, può concretamente far presumere che questo sia stato utilizzato per finalità estranee a quelle dell’impresa o, ulteriormente, sia stato sottratto alla stessa dall’organo gestorio (malversazioni, commercio in nero, esportazioni illegali, vere o presunte, ecc.). In altri termini, il fatto che l’imprenditore, nei tempi antecedenti lo stato di crisi, abbia utilizzato l’oro ricevuto in prestito d’uso senza mantenerne una quantità almeno pari a quella ottenuta in prestito, potrebbe far ritenere la condotta sussimibile entro gli atti di frode di cui all’art. 173 L.F.
Tuttavia, a parere di chi scrive, non sempre la condotta de qua può portare ad una automatica applicazione dell’art.173 L.F., poiché si deve, altresì, tener presente che l’oro ricevuto in prestito dall’impresa orafa non è in sua titolarità. In altri termini, non potendosi considerare l’oro concesso in prestito d’uso elemento costitutivo dell’attivo patrimoniale dell’impresa, e qualora la ricorrente abbia correttamente allocato tra i debiti il relativo controvalore in contabilità o nel piano di concordatario ex art. 160 L.F., non sembrerebbe che si possa considerare alterata, sic et simpliciter, la percezione dei creditori sulla reale situazione dell’impresa. E non si potrebbe concludere diversamente nemmeno con riguardo al passivo generato dal prestito d’uso nei confronti della banca nel caso in cui il debito sia assistito da garanzie reali da parte di terzi. Una volta escussa la garanzia da parte dell’Istituto finanziatore, il terzo fideiussore ha diritto di surrogarsi nella posizione creditoria della banca finanziatrice, senza che si venga a mutare, pertanto, il debito concordatario per il “prestito d’uso”.

6. Alternatività << concordato preventivo – fallimento>>

Ai sensi dell’art. 172 L.F., il Commissario Giudiziale dovrà illustrare: “le utilità che possono essere apportate dalle azioni risarcitorie che potrebbero essere promosse nei confronti dei terzi”. Nella relazione ex art. 172 L.F. il Commissario dovrà, dunque, valutare se l’organo gestorio ha adempiuto con diligenza agli obblighi imposti dalla legge e dall’atto costitutivo. Nello specifico, il Commissario Giudiziale, nel caso che ci occupa, dovrà verificare se la registrazione del debito verso la Banca sia stata effettuata nel periodo in cui effettivamente l’impresa era incapace di procedere alla restituzione dell’oro relativo ai prestiti d’uso o all’acquisto del medesimo, non essendo sufficiente soffermarsi alla data indicata nella fattura emessa dalla Banca.
Si può infatti ragionevolmente ritenere che l’oro in prestito sia stato utilizzato nel corso degli anni dalla società, e non solo nell’anno di ricevimento della fattura, anno in cui la società ha cristallizzato il debito nei confronti della banca. Ciò significa che il Commissario Giudiziale dovrà accertare se il debito sorto per l’incapacità di restituire l’oro alla banca
sia sorto in un momento in cui si avrebbe avuto l’azzeramento del capitale sociale, con l’insorgenza dei conseguenti obblighi ex art. 2447 c. c.
In questo caso, l’obbligo dell’amministratore di agire con diligenza avrebbe dovuto esplicarsi nel divieto di continuare a gestire la società in una situazione di dissesto, con il corollario di dover, altrimenti, o eliminare la situazione di dissesto (purché non irreversibile), o presentare tempestivamente la richiesta di fallimento ai sensi dell’art. 6 L.F.
Va infatti raccordato l’obbligo generale di agire con diligenza sancito dall’art. 2392 cod. civ. (che è un obbligo verso la società), con quello più specifico della conservazione dell’integrità del patrimonio sociale (che determina la responsabilità degli amministratori verso i creditori sociali ai sensi dell’art. 2394 cod. civ.). È di tutta evidenza, perciò, che, se ricorrono i presupposti di una azione recuperatoria nei confronti dell’organo amministrativo, il Commissario Giudiziale deve offrire ai creditori l’ulteriore informativa sulla eventuale convenienza del fallimento, in luogo di quella procedura minore del concordato preventivo.

7. Conclusioni

Il Commissario Giudiziale deve adempiere ai doveri del proprio ufficio, imposti dalla legge, con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico, informando e segnalando agli organi della procedura eventuali accertati atti in frode ai creditori. Pertanto, se l’impresa orafa ha relazionato compiutamente i creditori nella domanda di concordato riguardo al fatto che tutto o parte dell’oro acquisito in prestito d’uso non è più disponibile nell’azienda, indicando, altresì, nel piano di concordato il corrispondente debito, e da ciò scaturisce, comunque, la richiesta di un subprocedimento ex art. 173 L.F., a parere dello scrivente, l’attività del commissario giudiziale non risulterebbe corretta, per le ragioni sopra esposte. Se poi aggiungiamo che il mancato buon esito del concordato risulta verificarsi a causa della viziata segnalazione ex art. 173 L.F., non può essere escluso, in astratto, una censura da parte del debitore concordatario o
da singoli creditori o dal curatore del fallimento consecutivo.


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  1. Cfr. Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Vicenza – Raccolta degli usi della provincia di Vicenza: aggiornamento quinquennale 1990. ↩︎
  2. Art. 1813 cod. civ. “Il mutuo è il contratto col quale una parte consegna all’altra una determinata quantità di danaro o di altre cose fungibili e l’altra si obbliga a restituire altrettante
    cose della stessa specie e qualità”. ↩︎
  3. Il Principio Contabile n. 22 dell’OIC (Organismo Italiano di Contabilità) definisce i conti d’ordine, oggi abrogati, come quei valori che “(…) rappresentano annotazioni di memoria, a corredo della situazione patrimoniale – finanziaria esposta dallo stato patrimoniale; essi non costituiscono attività e passività in senso proprio. I conti d’ordine svolgono una funzione informativa su operazioni che, pur non influendo quantitativamente sul patrimonio o sul risultato economico dell’esercizio, possono influenzare tali grandezze in esercizi successivi. I conti d’ordine comprendono le garanzie, gli impegni, i beni di terzi presso la società e i beni della società presso terzi (…)”. Tali informazioni, come sopra detto, andranno ora indicate in Nota Integrativa. ↩︎
  4. Decreto legislativo del 09/01/2006 n. 5 Articolo 143. ↩︎
  5. Art. 161, sesto comma, L.F. “(…) L’imprenditore può depositare il ricorso contenente la domanda di concordato unitamente ai bilanci relativi agli ultimi tre esercizi e all’elenco nominativo dei creditori con l’indicazione dei rispettivi crediti, riservandosi di presentare la proposta, il piano e la documentazione di cui ai commi secondo e terzo entro un termine fissato dal giudice, compreso fra sessanta e centoventi giorni e prorogabile, in presenza di giustificati motivi, di non oltre sessanta giorni. Nello stesso termine, in alternativa e con conservazione sino all’omologazione degli effetti prodotti dal ricorso, il debitore può depositare domanda ai sensi dell’articolo 182 bis, primo comma. In mancanza, si applica l’articolo 162, commi secondo e terzo. Con decreto motivato che fissa il termine di cui al primo periodo, il tribunale può nominare il commissario giudiziale di cui all’articolo 163, secondo comma, n. 3; si applica l’articolo 170, secondo comma. Il commissario giudiziale, quando accerta che il debitore ha posto in essere una delle condotte previste dall’articolo 173, deve riferirne immediatamente al tribunale che, nelle forme del procedimento di cui all’articolo 15 e verificata la sussistenza delle condotte stesse, può, con decreto, dichiarare improcedibile la domanda e, su istanza del creditore o su richiesta del pubblico ministero, accertati i presupposti di cui agli articoli 1 e 5, dichiara il fallimento del debitore con contestuale sentenza reclamabile a norma dell’articolo 18 (…)”. ↩︎
  6. Articolo 172 Operazioni e relazione del commissario. In vigore dal 21/08/2015, Modificato dal Decreto-legge del 27/06/2015 n. 83 Articolo 4: “Il commissario giudiziale redige l’inventario del patrimonio del debitore e una relazione particolareggiata sulle cause del dissesto, sulla condotta del debitore, sulle proposte di concordato e sulle garanzie offerte ai creditori, e la deposita in cancelleria almeno quarantacinque giorni prima dell’adunanza dei creditori. Nella relazione il commissario deve illustrare le utilità che, in caso di fallimento, possono essere apportate dalle azioni risarcitorie, recuperatorie o revocatorie che potrebbero essere promosse nei confronti di terzi. Nello stesso termine la comunica a mezzo posta elettronica certificata a norma dell’articolo 171, secondo comma. Qualora nel termine di cui al quarto comma dell’articolo 163 siano depositate proposte concorrenti, il commissario giudiziale riferisce in merito
    ad esse con relazione integrativa da depositare in cancelleria e comunicare ai creditori, con le modalità di cui all’articolo 171, secondo comma, almeno dieci giorni prima dell’adunanza dei creditori. La relazione integrativa contiene, di regola, una particolareggiata comparazione tra tutte le proposte depositate. Le proposte di concordato, ivi compresa quella presentata dal debitore, possono essere modificate fino a quindici giorni prima dell’adunanza dei creditori. Analoga relazione integrativa viene redatta qualora emergano informazioni che i creditori devono conoscere ai fini dell’espressione del voto. Su richiesta del commissario il giudice può nominare uno stimatore che lo assista nella valutazione dei beni”.
    ↩︎
  7. Art. 173 L.F. in vigore dal 20/10/2012 [Modificato dal Decreto-legge del 18/10/2012 n. 179 Articolo 17]: “Il commissario giudiziale, se accerta che il debitore ha occultato o dissimulato parte dell’attivo, dolosamente omesso di denunciare uno o più crediti, esposto passività insussistenti o commesso altri atti di frode, deve riferirne immediatamente al tribunale, il quale apre d’ufficio il procedimento per la revoca dell’ammissione al concordato, dandone comunicazione al pubblico ministero e ai creditori. La comunicazione ai creditori è eseguita dal commissario giudiziale a mezzo posta elettronica certificata ai sensi dell’articolo 171, secondo comma.
    All’esito del procedimento, che si svolge nelle forme di cui all’articolo 15, il tribunale provvede con decreto e, su istanza del creditore o su richiesta del pubblico ministero, accertati i presupposti di cui agli articoli 1 e 5, dichiara il fallimento del debitore con contestuale sentenza, reclamabile a norma dell’articolo 18.
    Le disposizioni di cui al secondo comma si applicano anche se il debitore durante la procedura di concordato compie atti non autorizzati a norma dell’articolo 167 o comunque diretti a frodare le ragioni dei creditori, o se in qualunque momento risulta che mancano le condizioni prescritte per l’ammissibilità del concordato”
    . ↩︎
  8. (Cfr. nota 7). ↩︎
  9. Cfr. Cassazione, sez. I, 23 giugno 2011, n. 13817. ↩︎
  10. Ibidem alla nota 8 si legano anche Appello Milano 29/6/2011, Appello Venezia 24/11/2011, Appello Torino 21/5/2013: tutte pubblicate in www.ilcaso.it. ↩︎
  11. Massima ufficiale, Cassazione civile, sez. I, 10 Ottobre 2019, n. 25458. Pres. Didone. Est. Dolmetta. Cfr. www.ilcaso.it ↩︎
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SOMMARIO: I. Premesse. – II. Il contenuto dell’obbligazione del professionista stimatore ex artt. 2343 / 2465 cod. civ.– III. Metodi di stima nei conferimenti di beni in natura.– IV. Le responsabilità dell’esperto stimatore: natura e qualificazione. V. I danni recati dalla condotta negligente del professionista attestatore: brevi cenni.