Osservazioni in tema di responsabilità civile del perito stimatore e del suo concorso con gli amministratori nella causazione del danno da mala gestio di Giancarlo Zamperetti e Francesca Perini

SOMMARIO: I. Premesse. – II. Il contenuto dell’obbligazione del professionista stimatore ex artt. 2343 / 2465 cod. civ.– III. Metodi di stima nei conferimenti di beni in natura.– IV. Le responsabilità dell’esperto stimatore: natura e qualificazione. V. I danni recati dalla condotta negligente del professionista attestatore: brevi cenni.

I. PREMESSE.

Il presente lavoro si propone di offrire alcuni spunti di riflessione e di analisi sui profili di responsabilità rivenienti in capo alla figura del perito stimatore, nominato ai sensi degli artt. 2343 e 2465 cod. civ.; in particolare per le ipotesi in cui dall’inadempimento dello stesso possa derivare una solidale sua responsabilità con gli ex amministratori per il danno alla società cagionato dalla mala gestio di questi ultimi, e ciò nell’ambito dell’ampia valutazione che il curatore fallimentare svolge nella individuazione di tutti i soggetti a cui possa essere ascritto il dissesto patrimoniale della società.
Nello specifico, la fattispecie che viene in primario rilievo è quella in cui la curatela fallimentare accerti una sovra stima dei valori aziendali conferiti operata dal perito incaricato, in forza della quale la società, poi fallita, ha potuto continuare ad operare nonostante l’erosione del patrimonio sociale.
Nell’esame dei profili di responsabilità rivenienti dall’attività del perito stimatore ex artt. 2343 e 2465 cod. civ., occorre affrontare, principalmente, tre questioni: (i) l’individuazione delle obbligazioni del professionista, al fine di accertare quando si verifica l’inadempimento alla prestazione; (ii) la corretta qualificazione della natura della responsabilità del medesimo, in stretta connessione con i diversi rapporti che si instaurano tra il professionista e le parti; (iii) i danni recati dalla condotta negligente del professionista con brevi cenni in merito ai criteri per la loro
quantificazione.

II. IL CONTENUTO DELL’OBBLIGAZIONE DEL PROFESSIONISTA STIMATORE EX ARTT. 2343 / 2465 COD. CIV.

La disciplina dettata dagli artt. 2343 (società per azioni) e 2465 (società a responsabilità limitata) cod. civ., prevede che, per i conferimenti nelle società diversi dal denaro, deve essere predisposta una Relazione di Stima (id est perizia),
redatta da un professionista dotato di adeguate e specifiche competenze tecniche, al fine di evitare sopravvalutazioni con conseguente pregiudizio degli interessi dei soci e dei creditori sociali. Il professionista incaricato ex art. 2343 – 2465 cod. civ., deve caratterizzarsi per autonomia ed indipendenza.
La relazione peritale di stima, in forza della normativa ut supra, deve contenere, secondo il dettato normativo in esame, i seguenti elementi: (i) la descrizione dei beni o dei crediti conferiti; (ii) l’indicazione dei criteri di valutazione adottati; (iii) l’attestazione che il valore dei beni conferiti è almeno pari a quello attribuito ai fini della determinazione del capitale sociale.

La relazione giurata di stima ha un duplice scopo: da un lato è rivolta a tutelare gli interessi dei terzi creditori, quale idonea garanzia circa la sussistenza e consistenza del patrimonio ricevuto nella società conferitaria; dall’altro lato essa è volta ad evitare che il conferente possa apportare asset sopravvalutati, con conseguente pregiudizio per gli altri soci, che verrebbero, altrimenti, danneggiati sotto il profilo patrimoniale.
Conseguentemente, il procedimento valutativo seguito dal professionista nella stima delle attività conferite deve essere svolto diligentemente, sia sotto il profilo documentale (individuazione della documentazione sufficiente e necessaria per lo svolgimento dell’incarico), sia sotto il profilo del metodo logico e applicativo (indicazione delle forme e del grado di estensione dei controlli svolti sui dati utilizzati per la valutazione), con l’obbligo, da parte dell’esperto, di indicare i diversi criteri di valutazione applicati, a seconda delle singole fattispecie oggetto di perizia.
I metodi di valutazione adottati dal perito devono risultare adeguati, ragionevoli, e non arbitrari, tenuto conto delle informazioni di cui il professionista dispone nello svolgimento del proprio incarico.
Il professionista è pertanto chiamato ad indicare chiaramente ogni scelta effettuata, a motivarla adeguatamente, nonché a supportarla con riferimenti documentali (e, se del caso, anche teorici).
L’obiettivo che lo stimatore deve perseguire, come evidenziato anche dalla giurisprudenza di legittimità, è, quindi, quello della correttezza ed equità delle valutazioni effettuate. Il che significa, sul piano generale delle condizioni di stima, il rispetto dei requisiti di razionalità, oggettività, dimostrabilità dei risultati e dei processi, e di neutralità.
A questo riguardo, autorevole dottrina ha affermato che: “(…) la valutazione di un’azienda si ispira a concetti, criteri e metodi ai quali si chiede di esprimere una misura dotata del più alto grado possibile delle seguenti caratteristiche: razionalità, dimostrabilità, neutralità e in
qualche caso stabilità (…)1”.

In particolare, il rispetto dei requisiti sopra indicati richiede l’utilizzo di sicure basi informative, e l’analisi dei dati. Le time devono, dunque, essere composte con prudenza, perseguendo l’accertamento dei valori economici in atto, e non di valori potenziali2, e, quindi, con valori che devono risultare attendibili.

III. METODI DI STIMA NEI CONFERIMENTI DI BENI IN NATURA.

Nello specifico, il metodo di valutazione adottato dal professionista nello svolgere l’incarico professionale conferitogli deve essere corretto e, in special modo, deve risultare prudente nel valutare le circostanze a lui note al tempo della stima.
Il legislatore non individua dei criteri precisi di valutazione da applicare nei conferimenti per le stime delle aziende, o dei rami di aziende, lasciando alla discrezionalità del professionista la possibilità di adottare i criteri di stima maggiormente consoni, e rispondenti alla tipologia di azienda conferenda.
Tuttavia, trattandosi di conferimento in natura, il professionista deve aderire ad una tipologia di stima più prudente possibile e, si sottolinea, altresì, chiara, completa, affidabile e attendibile.

IV. LE RESPONSABILITÀ DELL’ESPERTO STIMATORE: NATURA E QUALIFICAZIONE.

È opportuno previamente evidenziare che il nostro ordinamento attribuisce un ruolo di estrema rilevanza all’esperto, il quale, nell’ambito di una procedura di conferimento aziendale, è chiamato a verificare, nell’interesse della società conferitaria, dei suoi soci e dei suoi stakeholder (inclusi, in particolare, i creditori sociali), la corretta formazione del patrimonio sociale.
Dall’assunzione dell’incarico discendono, pertanto, responsabilità di diversa natura in capo all’esperto.
È bene evidenziare che, nelle società per azioni, entro i 180 giorni successivi al deposito della perizia di stima, gli amministratori devono controllare le valutazioni contenute nella relazione, adottando, se sussistono fondati motivi, le rettifiche ritenute necessarie, procedendo alla revisione della stima (art. 2343, co. 3, cod. civ.).
Per quanto riguarda le Società a responsabilità limitata, la relativa normativa (art. 2465 cod. civ.), prevede la redazione della perizia di stima, ma non il successivo controllo da parte degli amministratori. L’articolo 2465 cod. civ. infatti, richiama esplicitamente il 2° comma dell’articolo 2343 cod. civ. (responsabilità del perito) ma non il 3° e il 4° comma del medesimo articolo (che disciplinano, appunto, il controllo successivo degli amministratori).
Tale discrasia fra le due discipline ha generato un dibattito che ha diviso la dottrina.
C’è chi ritiene, infatti, che, sebbene la norma non contempli tale obbligo a carico degli amministratori delle Società a responsabilità limitata, gli stessi siano tenuti comunque ad eseguire il controllo della valutazione, nei termini fissati dall’articolo 2343 cod. civ. per le Società per azioni, trattandosi, in ogni caso, di fattispecie analoghe.
Anche a non volere aderire all’indicato orientamento, si consideri che l’articolo 2632 cod. civ. sanziona penalmente gli amministratori di società (anche delle Società a responsabilità limitata) nei casi di formazione fittizia del capitale sociale, attuata anche mediante una “sopravvalutazione dei conferimenti”.
Dunque, anche se sugli amministratori di società a responsabilità limitata non grava alcun obbligo esplicito di procedere ad una revisione della stima del conferimento, nel caso in cui, a seguito del controllo eseguito, il valore attribuito al complesso aziendale sia sensibilmente inferiore a quello intrinseco del complesso aziendale, deve ritenersi buona prassi, per gli amministratori delle società a responsabilità limitata, procedere ad un controllo del valore del conferimento.
Tanto premesso, il controllo posto in capo all’organo gestorio, non può in ogni caso superare ed escludere la responsabilità dell’esperto nel caso di suo operato negligente. Nell’esecuzione del proprio mandato, inoltre, il perito stimatore può avvalersi di terzi collaboratori (nella prassi professionale i casi tipici in cui si ricorre all’acquisizione di pareri tecnici sono rappresentati dalle valutazioni degli immobili e degli impianti/attrezzature), del cui operato risponderà anche ai sensi dell’art. 2232
cod. civ., secondo cui “Il prestatore d’opera deve eseguire personalmente l’incarico assunto. Può tuttavia valersi, sotto la propria direzione e responsabilità, di sostituti e ausiliari, se la collaborazione di altri è consentita dal contratto o dagli usi e non è incompatibile con l’oggetto della prestazione”.
Orbene, tanto premesso, con riferimento alla responsabilità civile dell’esperto – che qui esamineremo – va distinto il piano dell’eventuale rapporto contrattuale diretto intercorrente tra esso ed il conferente – che esula dalla presente trattazione – da quello della sfera giuridica dei terzi nei cui confronti si riverberano gli effetti della relazione/valutazione operata dall’esperto (anche in assenza di legame contrattuale).
In merito ai rapporti con i terzi diversi dal conferente – che ci occupano in questa sede – ai sensi dell’art. 2343, comma 2, cod. civ., in materia di conferimenti in natura in società per azioni (norma espressamente richiamata per le società a responsabilità limitata ex art. 2465, comma 3, cod. civ.), il perito, nell’esecuzione dell’incarico conferito, è chiamato a rispondere “dei danni causati alla società, ai soci e ai terzi”.

Secondo la dottrina ad oggi prevalente3, la responsabilità dell’esperto nei confronti di tali soggetti si configura come responsabilità contrattuale derivante da obblighi di comportamento correlati allo status professionale rivestito dal perito. Infatti, pur non configurandosi tra l’esperto e la società, i soci ed i terzi, un vero e proprio rapporto contrattuale, la previsione normativa della nomina di un esperto dotato di particolari qualifiche professionali, chiamato dall’ordinamento a tutelare l’affidamento sulla correttezza della valutazione del bene conferito, e dunque della
formazione del capitale sociale, può essere considerata come fonte, atipica, dell’obbligazione di una specifica prestazione, ex art. 1173 cod. civ., dalla quale scaturisce una responsabilità da cosiddetto “contatto sociale”.
Ne consegue che, anche rispetto all’azione di responsabilità esercitata dalla società conferitaria, o dai suoi soci, o dai suoi creditori sociali, troveranno applicazione le previsioni degli artt. 1218 e ss. cod. civ., che gravano l’esperto di un’inversione probatoria a suo carico.
Sotto il profilo della diligenza richiesta al professionista, pare indubbio si debba far riferimento al canone generale di cui al secondo comma dell’art. 1176 cod. civ.4.
Nell’ipotesi in cui, pertanto, la relazione di stima non possa dirsi rispondente ai requisiti sopra illustrati, seguirà l’affermazione dell’inadempimento del perito all’obbligazione sul medesimo riveniente, per la violazione dell’obbligo di diligenza professionale ex art. 1176, co. 2, cod. civ., nella redazione della relazione di stima, con conseguente responsabilità risarcitoria nei confronti della società conferitaria, dei suo creditori, o del fallimento, ove questo sia nel frattempo intervenuto.

L’evidenziata responsabilità dell’esperto concorrerà, poi, con la responsabilità degli organi sociali che siano venuti meno ai doveri di controllo.
Non solo. Nella fattispecie di sopravvalutazione del patrimonio da conferire, e mancata emersione di perdita del medesimo, il perito potrà essere ritenuto responsabile, in concorso con gli amministratori ed i sindaci, per la determinazione del danno da aggravamento del deficit patrimoniale.
Nel caso di specie può infatti dirsi sussistente la responsabilità solidale dell’esperto per il risarcimento del danno determinato dalla mala gestio degli amministratori, per indebita prosecuzione della ordinaria attività di impresa in situazione di patrimonio netto negativo (nell’ipotesi in esame con l’atto di conferimento oggetto di perizia si era già verificata la causa di scioglimento prevista dall’art. 2484, co. 1, n.4, cod. civ.).
In virtù del principio di regolarità causale, difatti, tutti gli antecedenti in mancanza dei quali un determinato evento dannoso non si sarebbe verificato, debbono ritenersi causa del medesimo5.
In altri termini, in tema di responsabilità contrattuale e responsabilità extracontrattuale, se un unico evento dannoso è imputabile a più persone, al fine di ritenere la responsabilità di tutte nell’obbligo risarcitorio, è sufficiente, in base ai
principi che regolano il nesso di causalità e il concorso di più cause efficienti nella produzione dell’evento, che le azioni od omissioni di ciascuno abbiano concorso in modo efficiente a produrlo, configurandosi, a carico dei responsabili del danno, un’obbligazione solidale6.
Conseguentemente, risulta imputabile anche al professionista l’ingiustificata protrazione dell’attività imprenditoriale aggravante il passivo, laddove la ritardata apertura del fallimento sia stata causata o con-causata dal medesimo, come nel caso che ha dato spunto alle presenti osservazioni.
Può infatti affermarsi che l’indebita protrazione dell’attività di impresa sia avvenuta con il concorso commissivo del perito stimatore, la cui stima è stata posta a base dell’aumento del patrimonio sociale, e quello omissivo degli organi gestori e di controllo, che avrebbero dovuto esaminare l’operazione di conferimento. Essi avrebbero dovuto valutarne la correttezza nell’ambito della loro attività di verifica, anche in considerazione della rilevanza dell’operazione; senza che la responsabilità dell’uno possa escludere quella degli altri, come chiarito anche da Cass. n. 1240/2000, secondo cui: “La eventuale responsabilità dell’esperto che abbia supervalutato il patrimonio sociale inducendo in errore i terzi non è, in linea astratta, esclusa dalla concorrente responsabilità degli organi sociali che siano venuti meno ai doveri di controllo imposti dal citato art. 2343, terzo comma, cod. civ.”.

V. I DANNI RECATI DALLA CONDOTTA NEGLIGENTE DEL PROFESSIONISTA ATTESTATORE: BREVI CENNI

Nella fattispecie oggetto di esame, il patrimonio aziendale conferito aveva, al momento del conferimento, un valore economico in atto, negativo, tale da azzerare anche quello della conferitaria.
È dunque a partire da quale momento che può considerarsi verificata la causa di scioglimento della società conferitaria ai sensi dell’art. 2484, co. 1, n. 4, cod. civ. (riduzione del capitale al di sotto del minimo legale); ed è sempre a partire da quale momento che l’attività di impresa può dirsi proseguita indebitamente.
Ai sensi dell’art. 2484, co. 1, n. 4, cod. civ., infatti, la società si scioglie non appena le perdite abbiano ridotto il capitale sociale al di sotto del minimo legale: da tale momento sorge, conformemente al disposto legislativo richiamato, il divieto per gli amministratori di intraprendere nuove operazioni (divieto affermato dall’art. 2486 cod. civ., in forza del quale gli amministratori conservano il potere di gestire la società ai soli fini della conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio).
Ciò rilevato, sotto il profilo della determinazione del danno imputabile agli amministratori, all’organo di controllo, ed al perito, nella fattispecie oggetto del presente lavoro, la giurisprudenza oggi maggioritaria individua il danno cagionato dall’indebita protrazione dell’attività di impresa nella misura pari all’evoluzione negativa del patrimonio netto (c.d. differenziale dei netti patrimoniali o perdita incrementale).
La quantificazione del danno patrimoniale, nel caso di continuazione dell’attività d’impresa in una situazione di deficit economico-patrimoniale, si determina, dunque, calcolando la differenza tra il patrimonio netto al momento iniziale in cui l’attività di gestione caratteristica avrebbe dovuto cessare, e quello al momento finale in cui la gestione caratteristica è effettivamente cessata. L’indicata differenza risulterebbe equivalere al danno prodotto dall’indebita prosecuzione dell’attività.
Posto quanto sopra, consapevoli dei rilievi avanzati dalla giurisprudenza di legittimità nei confronti dell’indicato criterio di determinazione del danno (il tema merita senz’altro un’autonoma trattazione), si evidenzia che, secondo il citato orientamento, non tutta la perdita riscontrata dopo il verificarsi della causa di scioglimento potrebbe essere riferita alla prosecuzione dell’attività di impresa, potendo essa in parte prodursi anche in pendenza di liquidazione, o durante il fallimento, in ragione del venir meno dell’efficienza produttiva e dell’operatività
dell’impresa7. Al fine di tenere nella debita considerazione gli indicati rilievi – ai fini che occupano, e senza pretesa di esaustività in una problematica così vasta – risulterebbe appropriato adottare il correttivo di “depurare” le situazioni patrimoniali da
comparare di quelle poste contabili la cui valorizzazione si giustifichi esclusivamente in una prospettiva di continuità aziendale, nonché di quei costi ed oneri ineliminabili che sarebbero maturati anche nella fase conservativa, e poi
liquidatoria (c.d. “perdita inerziale”).


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  1. L. GUATRI, Trattato sulla valutazione delle aziende, Milano, 1998. ↩︎
  2. L. GUATRI – V. UCKMAR, Linee guida per le valutazioni economiche. Un contributo alla società italiana
    e alla giustizia in sede civile, penale e fiscale
    , Milano, 2009. ↩︎
  3. TASSINARI, sub art. 2343, in MAFFEI ALBERTI (a cura di), Commentario breve al diritto delle
    società
    , Padova, 2007, pag. 256. ↩︎
  4. Art. 1176, co. 2, c.c.“Nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la
    diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata”.
    ↩︎
  5. In questi termini Cass. n. 484/2003; n. 12103/2000; 10987/1996. ↩︎
  6. Si veda in tema Cass. n. 13413/2010. ↩︎
  7. In questi termini si veda Cass. n. 17033/2008. ↩︎
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